1939-1950: dall’Aeronautica Militare alla “Capanna Renata”
[da “Eco di Biella” del 3 novembre 2025, articolo di Danilo Craveia]
La Renata della “Capanna Renata”? È la figlia del comm. Ernesto Botto Poala, industriale vallestronese (1896-1967). La signorina Renata fu la madrina della costruzione e dell’inaugurazione del rifugio, avvenuta domenica 25 giugno 1950. L’imprenditore laniero sostenne le spese dei lavori di ristrutturazione dello stabile e tanta generosità fu contraccambiata simbolicamente con l’intitolazione dell’edificio alla giovane figlia. Da quel giorno, quello che era stato il “Rifugio Monte Camino”, assunse la sua denominazione definitiva. Ma quella struttura, uno dei luoghi più cari agli alpinisti-escursionisti biellesi, aveva già avuto, prima di allora, una storia che nulla aveva a che fare con le scarpinate in montagna. Il 31 luglio 1939 una lettera dell’Ufficio Lavori del Genio del 1° Corpo d’Armata di Torino fu indirizzata al rettore del Santuario di Oropa. Oggetto: occupazione di terreni per costruzione di opere militari. Il capo dell’ufficio, colonnello Frattali, comunicò che “per esigenze militari deve iniziare subito la costruzione di opere inerenti alla difesa dello Stato a Monte Camino”. Tirava già aria di guerra e il tono dello scritto era quello marziale dettato dalle circostanze. “Poiché l’urgenza dei lavori non ammette l’indugio della pratica d’esproprio, si informa che l’occupazione del tratto di terreno ove le opere verranno costruite (circa 500 mq sulla vetta del Monte Camino) avverrà immediatamente”. Non c’erano margini di trattativa. Anzi, a dire il vero, i lavori erano già iniziati. Tant’è che il 28 luglio il capoguardia del Santuario di Oropa, Pietro Sacchetti, aveva sorpreso l’impresario Lodovico Ramella Pairin del Favaro a scavare per realizzare le fondamenta dell’edificio, ma senza alcuna autorizzazione. Il cantiere fu bloccato con tanto di diffida al Ramella Pairin. In effetti, il timore di un attacco nemico era tale che l’autorità militare non aveva neppure avvisato l’Amministrazione del Santuario di Oropa dell’avvio della costruzione. Il 1° agosto la stessa Amministrazione del Santuario di Oropa provò a riportare la questione entro termini normali, per quanto la situazione poteva permetterlo. Il ragionier Pietro Bertolone, qualche settimana dopo la lettera del colonnello Frattali, si recò a Torino per cercare di sistemare le cose, ma l’esproprio era diventato più che esecutivo, se non de iure, senz’altro de facto. La guerra stava avvicinandosi ad ampie falcate e le vicende sulla cima del Camino passarono ben presto sullo sfondo. I problemi in primo piano erano altri. Tanto per cominciare, per gli amministratori oropensi, come procedere con il cantiere della Chiesa Nuova. Ma che cosa era stato costruito lassù? Una casermetta e, soprattutto, un osservatorio aeronautico. La casermetta, che avrebbe ospitato uno o più militi incaricati delle osservazioni, è stata trasformata nella “Capanna Renata”, mentre l’osservatorio vero e proprio si è evoluto nella cappelletta degli Alpini dedicata al loro santo patrono, San Maurizio. L’iniziativa della edificazione era stata della Regia Aeronautica in vista delle possibili incursioni aeree di potenze ostili, ma il servizio di guardia era stato affidato alla Milizia per la difesa contraerea territoriale, cioè la DICAT, che era stata istituita nel 1930. La DICAT aveva il compito di “predisporre, in tempo di pace, e di attuare in tempo di guerra unitamente alle unità contraeree delle altre forze armate, la difesa del paese da attacchi aerei nemici”. I documenti dell’Archivio Storico del Santuario di Oropa tramandano il nome di una delle vedette, tale Pagliazzo, camicia nera assegnata alla postazione del Monte Camino. Quale sia stata l’utilità effettiva della casermetta e dell’osservatorio è tutto da verificare, ma alla fine dell’ultimo conflitto l’una e l’altro rimasero vuoti, privi di scopo e, come segnalato in una lettera del 15 settembre 1945 inviata da Oropa alla Direzione Lavori del Genio Militare, “la costruzione si trova ora in stato di completo abbandono senza porte, né finestre alla mercè di tutti i male intenzionati ed è destinata alla totale distruzione se non si provvede al ripristino ed alla manutenzione”. Dal punto di vista giuridico, lo stato dell’arte era incerto e si potevano prevedere varie possibilità. La più ragionevole e rapida era quella di riportare il tutto alle condizioni iniziali, cioè restituendo il terreno al Santuario di Oropa e, con esso, i due stabili. Altrimenti la loro cura sarebbe ricaduta sull’Aeronautica Militare e non era quello il tempo per carichi del genere, per quanto esigui. Così avvenne. Il Santuario di Oropa entrò in possesso della casermetta e dell’osservatorio, ma anche per il CdA oropense si presentava il problema della manutenzione e, prima ancora, della messa in sicurezza degli immobili. L’estate del 1945 portò, insieme alla speranza della pace riconquistata, anche buone opportunità di dare alla installazione militare una nuova e più lieta esistenza. Nell’autunno, mentre si stavano chiarendo gli aspetti burocratici del passaggio di proprietà a favore del Santuario di Oropa, si fecero avanti la Società Sportiva “Pietro Micca” (presieduta da Enrico Umberto Bertola) e il Centro Alpinistico Italiano, cioè il CAI, che aveva ancora il nome italianizzato in epoca littoria (presieduto da Guido Alberto Rivetti). Si trattava, in buona sostanza, di addivenire a una locazione per tramutare la casermetta in rifugio. Ma il Genio Militare non stava facilitando le cose, imponendo una sua presenza in parte dello stabile (che già era esiguo) e, come da lettera 15 ottobre 1945, manifestando di prediligere il CAI come “coinquilino”. Il tutto obbligando l’Amministrazione del Santuario di Oropa a rilasciare una “dichiarazione di rinunciare ad ogni e qualsiasi pretesa per l’esproprio subito nel 1939”. Nei mesi successivi, tuttavia, gli eventi resero più scorrevole la soluzione del problema. Oropa, rappresentata da Aldo Blotto Baldo e dal canonico Francesco Ottino, ottenne la piena disponibilità degli immobili e così potè affittare la casermetta e l’osservatorio alla “Pietro Micca” per dodici anni a far data dal 1° luglio 1946. Cinquemila lire l’anno il canone di locazione. Nelle clausole contrattuali si legge che, già allora, c’era l’idea di raggiungere la cima del Camino con un impianto di risalita e, se l’installazione di tale macchinario l’avesse richiesto, la “Pero” avrebbe dovuto cedere il passo, anche a costo di veder abbattuti gli immobili. In effetti, la cestovia fu poi realizzata, ma senza necessità di abbattimenti. La società affittuaria intervenne fin da subito per migliorare le condizioni della struttura. Tanto per cominciare spostando il gabinetto da dentro a fuori… Nel 1947, anche in ragione della progettazione ormai avanzata della seggiovia del Monte Camino, che sarà poi inaugurata il 30 luglio 1948, si pensava già ad ampliamenti resi necessari dall’afflusso degli appassionati camminatori che trovavano accogliente il rifugio dopo la bella scarpinata per la vetta del Camino o dopo una ben più facile ascensione dall’Albergo Savoia in undici minuti comodamente seduti. La “Pero” si avvicinava al suo primo mezzo secolo di vita e voleva celebrarlo al meglio, anche in quota, ma occorrevano ingenti sforzi finanziari per dare degna sistemazione alla ex casermetta. Nel frattempo, la ex garitta di ascolto, ossia l’osservatorio sulla punta della montagna, stava vivendo un differente destino. Fu la Sezione ANA di Biella a farla propria e, il 1° agosto 1948, fu consacrata la chiesetta di San Maurizio. Per rendere davvero efficiente la “capanna” le spese furono davvero notevoli, ma c’era tanto entusiasmo e, soprattutto, la buona stella del comm. Botto Poala di cui sopra. Il 1949 fu l’anno degli investimenti e dei lavori. Così forte fu l’impegno che, a mezzo stampa, dopo aver annunciato la denominazione che celebrava la giovane madrina, la “Pietro Micca” comunicò che il 2 ottobre 1949 la “Capanna Renata” sarebbe stata inaugurata. Con tanto di programma dei festeggiamenti, facilitazioni per i trasporti e recapiti per le prenotazioni. In realtà, più che di un’inaugurazione, si trattò di una semplice e non molto partecipata apertura. I tempi non erano ancora del tutto maturi. E la “Pero” fece sapere che il rifugio sarebbe stato aperto, fino alla stagione invernale imminente, ma solo nel fine settimana, oppure dietro prenotazione. Dato l’esito dell’evento del 2 ottobre, i dirigenti della società sportiva spostarono al 1950 la vera inaugurazione. E il resto della storia? La prossima settimana.
Dal 1950 al futuro: i quindici lustri della “Capanna Renata”
[da “Eco di Biella” del 10 novembre 2025, articolo di Danilo Craveia]
Nel libro che la “Pero” ha pubblicato per il suo centesimo anno di attività nel 1999 (“Pietro Micca: cento anni di una grande società sportiva”, scritto da Pierpaolo Benedetto), non c’è una sola foto della “Capanna Renata”. Il che dimostra che non è affatto semplice reperire immagini storiche della struttura. Il rifugio sotto il Camino è davvero un luogo del cuore dei biellesi (affiliati alla “Pero” o meno), eppure, per chissà quale ragione, il destino di quella casermetta riqualificata è stato quello, almeno finora, della invisibilità fotografica. Forse, con queste colonne e quella della scorsa settimana, i detentori di preziosissime immagini della “Capanna Renata” si faranno avanti in modo da consentire la costruzione di un album virtuale che ne illustri la storia. Storia che inizia, come si è scritto l’altro lunedì, il 25 giugno 1950. Già allora l’edificio era cambiato rispetto alla sua forma originaria. Nel 1947, infatti, con una lettera datata al 15 settembre, la “Pero” chiariva le sue intenzioni di apportare sostanziali modifiche allo stabile. Si è già sottolineato che tali previsti incrementi volumetrici erano dettati dalla entrata in funzione della seggiovia del Camino (1948). Si trattava, nello specifico, di ampliare il rifugio verso ovest, di costruire un piano superiore “da adibirsi a dormitorio” e del “conseguente allargamento dello spiazzo antistante”. Preventivo stimato: non meno di due milioni di lire che, allora, non erano spiccioli. I cospicui lavori, compatibilmente con le condizioni difficili dovute alla posizione dell’edificio (poco al di sotto dei quasi 2.400 metri s.l.m. del Camino), furono eseguiti interamente sostenuti dall’imprenditore laniero comm. Ernesto Botto Poala. Si può aggiungere che furono progettati dall’ing. Franco Aimone (mancato nel 2000), stimato professionista attivo in città e nel Biellese. L’intervento del commendator Botto Poala aveva salvato la “Pero” da una grave situazione di sbilancio finanziario, esposta in questi termini in una lettera inviata all’Amministrazione del Santuario di Oropa in data 25 gennaio 1950. La “Pietro Micca” aveva appena chiesto aiuto per celebrare il suo cinquantenario, ragion per cui “non è possibile ottenere il finanziamento per la costruzione del locale ad uso dormitorio”. Stante che “la spesa sopportata dalla Società per il restauro dell’Edificio, per la costruzione della cucina e per la nuova costruzione che copre parte del terrazzo e dove è stata ricavata una accogliente sala è, per i nostri modesti mezzi, imponente”. Il Santuario di Oropa aveva provvisto il cantiere di materiali vari, ma l’esborso complessivo da parte della “Pero” superava il milione di lire. La logica conseguenza era dunque quella di ammortizzare l’uscita consumando il canone d’affitto, considerando che “la cifra rappresenta all’incirca l’incasso di quattro anni di quote sociali della Pietro Micca”. Alla fine, tutto andò per il meglio. Le belle iniziative riescono per i sacrifici di tutti e si arrivò all’inaugurazione. Renata Botto Poala, all’epoca quindicenne, tagliò il nastro dopo la benedizione di don Giuseppe Golzio (scomparso nel 1985) e dopo la prolusione augurale dell’avv. Ferrante Brovetto (morto nel 1972), originario di Casapinta e grande amante della montagna (ufficiale degli Alpini, era stato compagno di corso ad Aosta di Ico Busancano). La “Capanna Renata” nasceva dotata di linea telefonica (residuato bellico) derivata dall’Albergo Savoia e con tutti i “comfort” di un rifugio nuovo. La cronaca della memorabile giornata del 25 giugno 1950 tramanda anche la figura del primo gestore, “Monsù Gradin” (al secolo Grato Ramella). Dopo il rituale ufficiale, “Gradin s’è prontamente messo a disposizione degli intervenuti. La capanna, in cui funziona un servizio di Bar-Ristorante rimarrà aperta, per ora, solo la domenica, ma a partire da metà luglio, e fino alla fine di agosto la capanna sarà aperta tutti i giorni”. Eh, sì, una nota è dovuta anche ai gestori. Qualcuno è emerso dalle vecchie carte, altri sono ancora da scoprire (valga il discorso delle fotografie…). Dopo Grato Ramella si è incontrato Gianfranco Coda Zabetta dal 1955. Nel 1963 ecco Gianfranco Lanza e Angelo Comazi. Poi fu la volta di Luciano Chiappo, che rimase fino al 1975. Gli successe Rosa Ramella Pollone. Due anni dopo, la “Pero” cercava un nuovo gestore con un annuncio sui giornali. L’Archivio Storico del Santuario di Oropa restituisce questi nomi. Quelli che mancano, anche più recenti, fanno parte di una storia che gli escursionisti biellesi (e non) sanno bene e che possono condividere. I rifugisti sono spesso persone e personaggi che restano nel cuore. Grato Ramella non aveva aspettato l’inaugurazione del 1950. Lui era salito alla futura “Capanna Renata” già nel 1946. Il 14 dicembre 1945 il Santuario di Oropa era entrato in possesso degli stabili e il “Gradin” si era installato quasi subito lassù. Sul “Corriere Biellese” del 5 agosto 1948 si trova un suo “ritratto”, scanzonato e poetico. Titolo: “Il solitario della montagna”. Vale la pena di leggerlo tutto. “Gradin. Non è il suo nome questo. Ma non lo conoscono altrimenti. Abbiamo dovuto andarglielo a domandare di persona, il vero cognome: Ramella Grato. E forse, non lo ricordava nemmeno Lui… È venuto su dal ’46. Vive ogni giorno, ogni ora, qui, a contatto col cielo, in colloquio col monte che ama. Non lo spaventa la bufera, la neve, la furia scatenata delle tempeste. Vuol solo continuare così. Come ha fatto fin ’ora. La piccola baita porta sulla sommità della facciata una scritta: «Rifugio del Monte Camino». Tutto lì. E lui ne è il padrone. Quando a sera gli alpinisti se ne vanno alle prime ombre del crepuscolo, e cala la notte, resta solo lassù, a fissare in basso le luci lontane della città e in alto le stelle che brillano a miriadi. E allora, si sente più vicino a quelle che al resto. A tutto il resto. Ai suoi piedi brulica la vita umana. Lotte ed intrighi, follie e rivalità: tutto è laggiù, in fondo a valle, lontano dal suo spirito che cerca e trova, nella roccia e nel cielo, la pace serena. Quella vera. E d’inverno, al scender della neve che per metri d’altezza seppellisce tutto e tutto vince, è ancora lui, solo lassù, che fissa i «suoi» monti pavesati a festa, ammantati di candore e di bellezza; ancora lui che sa, di trovar domani, nel sorgere del sole, il più vicino, il più confortevole amico. Avremmo voluto chiedergli l’età e non l’abbiamo osato. Forse non ha età. Non conta il tempo, per lui; non ha misura tutto ciò che per altri significa corsa sfrenata nel vorticare della vita. Era più solo una volta. Poi, sono venuti uomini con attrezzi, ferri, arnesi e picconi. Gli hanno messo vicino alla casetta, una ruota grande che gira e porta seggiolini. Non è più, non sarà più così solo Ma n’è soddisfatto. Sarà lui, lassù ai 2000, a ricevere i turisti. Sarà lui a dar certo vinello che fa schioccar la bocca. Sarà l’ospite di casa: della grande casa che si chiama Monte Camino. Gli toglieranno un po’ della sua quiete e del suo eremo. Ma solo a tratti. A sera e di notte, resterà ancora, lui solo, a guardare in basso le luci e in alto le stelle. Più vicino a queste di noi. Di tutti noi”. Nel 1973 il rifugio fu oggetto di cospicui lavori di ristrutturazione. Se ne occupò, con indiscutibile esperienza, la ditta Ronchetta di Sordevolo. Nell’agosto del 1974 si festeggiò: Renata Botto Poala fece visita al “suo” rifugio, accolta dal gestore Luciano Chiappo, dalla moglie Sandra e dal “generoso Giacomo” (chi era costui…?). Un anno più tardi, anche a causa del maltempo dell’ultimo inverno, la “Capanna Renata” versava in condizioni niente affatto buone. Fu chiesto al Santuario di Oropa, come a dire il proprietario, di intervenire, ma la situazione era complicata anche per la “casa” della Madonna Nera. Si tirò la cinghia, si resistette e si andò avanti. Il mezzo secolo che è trascorso non è stato facile per la “Capanna Renata”, ma sembra che le cose vogliano cambiare perché ci sono volenterosi capaci e caparbi che vogliono farle cambiare. Della “Capanna Renata” parla brevemente un bel volumetto, appena uscito, dedicato ai rifugi che portano nomi di donne. Dove è il mio cuore. Viaggio biografico tra i rifugi e i bivacchi italiani dedicati alle donne, scritto da Camilla Maria Anselmi. Sul rifugio del Camino ci sono alcune imprecisioni storiche (a dire il vero, anche il volume della “Pero” del centenario), ma sono dettagli di poco conto. Quel che conta, invece, è che la “Capanna Renata” abbia ancora un futuro. E che tra altri quindici lustri, qualcuno aggiorni questa storia.