Gente di Biella: le mostre "personali" dello Spazio Cultura
- Gente di Biella: le mostre “personali” dello Spazio Cultura
- Il Carnevale. Un racconto per immagini tratto dagli archivi Valerio e Cremon (19 febbraio-15 marzo 2013)
- Una vacanza per tutti. Ricordi dalle colonie estive biellesi (12 luglio-13 settembre 2013)
- La Regina d’Autunno. Le Feste dell’Uva nella tradizione biellese (21 ottobre-30 novembre 2013)
- Biella si svaga. Immagini del tempo libero tra gli anni ’30 e ‘60 (15 luglio-16 settembre 2016)
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Il Carnevale. Un racconto per immagini tratto dagli archivi Valerio e Cremon
Le origini del Carnevale di Biella sono antichissime, risalgono all’epoca romana.
Nel Novecento il Carnevale biellese ha vissuto momenti di intensa partecipazione, soprattutto tra la metà degli anni ‘20 e la fine degli anni ‘30. Tuttavia, dopo la guerra stentò a riprendersi e a tornare ai fasti degli anni precedenti. Il Carnevale divenne sempre più appannaggio dei giovani, in particolare degli studenti degli istituti superiori. In questo periodo comparve il giornale satirico carnevalesco L’orso schizofrenetico.
Negli anni ‘50 l’organizzazione del Carnevale passò dal Comitato Carnevalesco al Consiglio Famigliare; i quartieri cittadini, come il Vernato e il Piazzo, e i comuni limitrofi, come Chiavazza, si fecero promotori di nuove iniziative. Il Carnevale del 1959 fu “quello che rappresentò il massimo della grandiosità e della riuscita […] il più splendido ma purtroppo anche l’ultimo” durante il quale il pubblico ebbe la possibilità di ammirare “la costruzione della Gran Baita, il meraviglioso Corso dei Carri, l’elezione delle Catlinette nei paesi del Circondario e quello della Catlina a Biella, il Processo del Babj, il riuscitissimo Ballo del Lunedì, i Fuochi d’artificio, l’ingaggio di artisti e cantanti di grido” (Giuseppe Cavallo, Rivista Biella, Biella 1964).
Nel 1961 scomparvero i giochi popolari che avevano rivestito nell’anteguerra un ruolo di primo piano: la corsa dell’uovo in bicicletta, la rottura delle pignatte, il gioco delle arance, la scalata dell’albero della cuccagna, la corsa delle brente, il gioco della padella, la pesca delle cipolle. Fu soppresso anche il “Ballo del Lunedì” – Bal dal Lunés – a causa della scarsa partecipazione dell’anno precedente. Andò ancora peggio l’anno successivo (1962) quando, per mancanza di fondi, non fu organizzata la consueta sfilata in costume; furono mantenute la tradizione della fagiolata e della “carretera” – la corsa automobilistica organizzata dagli studenti – e si iniziò a parlare di Carnevale per i bambini.
I primi anni ‘70 videro una ripresa della partecipazione popolare quando il fulcro dell’organizzazione carnevalesca divenne il Rione Vernato Thes: il Gipin, messo in ombra negli anni precedenti, riassunse il suo ruolo di “motteggiatore” e la sfilata dei carri allegorici, delle maschere e delle majorettes divenne l’evento più importante. Ma nel 1974 tutto si arenò a causa dell’austerity legata alla crisi petrolifera.
La rinascita delle maschere è legata agli anni ‘80. Nel 1982, dopo parecchi anni, fu riproposto il Processo al Babi, che da allora rappresenta il momento conclusivo della festa del Carnevale. Dal 1983 al 2003 è stata ripresa la tradizionale sfilata dei carri allegorici e al 1984 risale la prima edizione de “La folle notte del Piazzo”, che ha sostituito il “Ballo del Lunedì”.
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Le maschere di Biella
Gipin
Il primo documento in cui si parla della maschera biellese è L Gepin e la Vecia (1911) del professore Alessandro Roccavilla, il quale scrisse che “la maschera di Gepin è originaria di Camandona […]. Il Gepin è un vecchietto vegeto e robusto, sulle cui labbra scoppiettano motti arguti e pungenti. Ha ancora del macigno, ma se le scarpe ha grosse, il cervello ha fine. Scende in città con l’immancabile ombrellone rosso sotto il braccio destro ed il rustico canestro infilato nel sinistro; porge a chi lo ferma una castagna bianca (‘na grëlla) o il pizzico di tabacco che egli accompagna con un motto”; Gipin veste “di panno grosso, di mezza lana, con la tinta color mattone […]. Porta sempre gli «scafarotti», calzatura usata ancora dai contadini”. Il Roccavilla parla anche del “dialetto puro biellese, ma non della città, della montagna: facilmente si irrita e grida con sfoggio di proverbi paesani”.
Catlin-a
Chiamata inizialmente la “Vecia”, la moglie di Gipin verrà poi chiamata Gipina e infine Catlin-a. Roccavilla la descrive come “pettegolina, curiosa e ha imparato a conoscere il mondo attraverso la cronaca del suo paese: maliziosetta alle volte, ma tutta piena di timor di Dio”. Solitamente tiene in mano un grosso ventaglio nero, sostituito a volte dal “canestro con le nocciole (nosit)”.
Durante i Carnevali degli anni Venti e Trenta il Gipin e la Catlin-a portavano sul viso una maschera dagli zigomi pronunciati e arrossati. Dal 1947 Francesco Gallina, interprete di Gipin, decise di non portare più la maschera affidandosi alla propria mimica facciale.
Gipinòt
Dal 1930 al 1956 il Gipin e la Catlin-a furono accompagnati da un figlio: “rampollo suggerito dalla presenza […] di una persona caratteristica per la minuscola statura, l’umore faceto e la disposizione alla gaia combriccola” (Luigi Pralavorio, La storia di Gipin: caratteristiche e origini della maschera, Gaglianico 1979). Si chiamava Cleto Rivetti e forse era più vecchio dei genitori.
Il processo al Babi
Il primo processo al Babi fu inscenato domenica 14 febbraio 1926 presso Piazza Fiume. La rappresentazione avvenne all’aperto e l’apparato scenico raffigurava l’interno di un’aula di Tribunale con gli scranni e il banco degli imputati.
Negli anni le sedi del ‘procedimento giudiziario’ furono diverse: Piazza della Funicolare (ora Curiel), Piazza Quintino Sella (ora Martiri della Libertà), Piazza Fiume, Piazza 1° Maggio e il Teatro Sociale (al chiuso e con una partecipazione forzatamente limitata).
Ma perché viene processato il Babi?
Innanzitutto bisogna sapere che la leggenda narra che il Babi, originario delle zone paludose della bassa, si recò un giorno verso i monti biellesi e, inebriato dal clima e dalla vista del paesaggio, iniziò a salterellare balzando sul ramo di un albero. In quel momento arrivarono il Gipin e la Catlin-a: la donna sentendo i versi emessi dal Babi esclamò “Che bell’uccello, e che originale!”. Il rospo si inorgoglì, ma il Gipin disse alla moglie che non si trattava di un uccello bensì di un babi. Questa affermazione diede origine all’inimicizia tra il Gipin e il Babi, il quale, da allora accusato di spacciarsi per l’uccello più bello di Biella, viene portato in tribunale, dopo essere stato catturato grazie all’aiuto di tutta la popolazione e immancabilmente condannato.
Ma prima del levarsi delle fiamme, il Babi pronuncia il suo ultimo, attesissimo discorso. È una sorta di requisitoria nei confronti della città, il pretesto per mettere alla berlina vizi ed intrallazzi tutti biellesi.
Il Carnevale di Candelo
Come tutti i paesi biellesi, anche Candelo vanta una ricca tradizione carnevalesca che ha vissuto i suoi momenti più belli negli anni ‘50. Nel passato era un momento di aggregazione importante perché i giovani, durante i mesi freddi, si trovavano nelle stalle per preparare i carri e i costumi. Era un modo per stare insieme e per divertirsi con poco.
Tralasciando le manifestazioni tipiche del Carnevale, come i balli, le sfilate e le fagiolate, soffermiamoci sulle maschere del paese. Nelle varie edizioni degli anni passati hanno fatto la loro comparsa tre diverse maschere.
Il Toulun
Figura contadinesca vestita in frac, che prende spunto da una storiella popolare candelese. Si racconta che “Nostro Signore Iddio, dopo aver creato la Terra, pensò anche di creare i paesi. Per far ciò, aleggiava in Cielo con in mano una pannocchia di granoturco e lasciava cadere qua e là un chicco per volta: man mano che il chicco cadeva sulla terra, ecco che spuntava un paese. Ma quando giunse sopra a quello che sarebbe poi stato Candelo, o meglio, il sobborgo di S. Giacomo (comunemente chiamato Pusgnanc), si accorse che i chicchi li aveva snocciolati tutti e che in mano Gli era rimasto solamente il tutolo, cioè il torsolo della pannocchia. In mancanza dei chicchi, lasciò allora cadere questo, ed ecco che nacque il sobborgo di Pusgnanc.” (I paesi biellesi nel tempo e nella storia. Candelo, Coggiola, Pollone, Andorno Micca, vol. I, s. l., s. a.).
Questa leggenda servì agli organizzatori del Carnevale per inventare la maschera del paese: il Toulun in frac e cilindro con in mano il torsolo di una pannocchia.
La maschera, dopo un periodo di oblio, venne riprese con la figura del Re Toulun.
Negli anni 1955 e 1956 nacquero due nuove figure, sempre pescate in una leggenda candelese:
Il Conte e la Contessa di Isingarda
Isingarda (o Sangarda) è una località della Baraggia candelese dove, in tempi remotissimi, sarebbe sorta una rocca fortificata o un castello. “Poco o nulla si sa di questo castello, secondo la tradizione popolare teatro di oscure vicende” (I paesi biellesi nel tempo e nella storia 1964), ma diede il là per dare vita ad una coppia di maschere rappresentative della nobiltà del paese.
Pinòt e Pinòta ‘dla Val
Quando il paese di Candelo era costituito solamente dal suo antico Ricetto, “solitario e sperduto nella estrema zona sud del suo territorio si incontrava un ampio cascinale”, la casin-a ‘dla Val. “Ora avvenne che, nell’avvicendarsi dei “massari” della cascina, si stabilì nel luogo una giovane coppia di sposi che, per simpatica coincidenza, portavano i nomi di Giuseppe e Giuseppina: Pinòt e Pinòta” (Pier Giorgio Tamaroglio, J souma qui! Biglietti da visita delle maschere del Biellese, Borgosesia 1991).
Da questo racconto il Comitato Folkloristico candelese decise di dare origine alla nuova maschera: il Pinòt e la Pinòta ‘dla Val.
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Bibliografia generale
Alessandro Roccavilla, L Gepin e la Vecia, s. l. 1911.
Giuseppe Cavallo, Rivista Biella, Biella 1964.
Luigi Pralavorio, La storia di Gipin: caratteristiche e origini della maschera, Gaglianico 1979.
Pier Giorgio Tamaroglio, J souma qui! Biglietti da visita delle maschere del Biellese, Borgosesia 1991.
Rolando Magliola, Il Carnevale che non c’è più, in La Nuova Provincia di Biella, 18 febbraio 2012
I paesi biellesi nel tempo e nella storia. Candelo, Coggiola, Pollone, Andorno Micca, vol. I, s. l., s.a.